lunedì 14 marzo 2016

SportivaMente: Riccardo Magrini

Riccardo Magrini è un ex ciclista professionista e direttore sportivo. Oggi lavora come commentatore televisivo.

Da corridore ha vinto una tappa al Giro d'Italia e una al Tour de France.

Da Direttore Sportivo ha guidato la Mercatone Uno di Marco Pantani e la Domina Vacanze di Mario Cipollini.

Oggi Riccardo Magrini lavora come commentatore e opinionista per Eurosport.






Il ciclismo è uno sport individuale in cui la squadra conta moltissimo. Quali sono a tuo parere le qualità caratteriali e personali che deve possedere un leader, un capitano?

Innanzitutto un leader deve capire che le corse non si vincono da soli e, di conseguenza, deve saper dare il giusto merito ad ogni persona che lo accompagna al successo. Deve, quindi, saper apprezzare e saper dare risalto al lavoro dei suoi compagni. Da leader è inoltre importante saper comandare e rimproverare, se ci sono le ragioni per farlo. 
Per fare il capitano non sono sufficienti unicamente le doti atletiche, ma servono anche delle competenze di natura psicologica.


Deve quindi comprendere le persone che gli stanno intorno?

Un leader deve essere capace di costruire un gruppo intorno a sè. Questo pezzo non è un lavoro di esclusiva competenza del leader, ma costruire il gruppo è fondamentale.

Guardando da fuori, ci sono degli indicatori che ti fanno capire che la squadra è unita e sta funzionando bene?

L'indicatore più facilmente percepibile è il comportamento in corsa. Se i corridori sono molto vicini al capitano, questo è un indicatore di un gruppo che funziona bene. Questo chiaramente non vale in senso assoluto, perchè dipende dalla condizione atletica dei membri della squadra e dalla fatica che si fa in corsa. Non sempre è possibile stare vicino al capitano.
Ti accorgi, però, che un gruppo funziona bene quando ti siedi a tavola o quando ci sono dei momenti comunitari. Seppure, generalmente, un corridore passi molto tempo nella sua stanza, quando il gruppo funziona in questi frangenti noti una buona amalgama.

Credi si possa favorire questo processo? 

Questo è un aspetto che cura il direttore sportivo. Solitamente il direttore sportivo, in partecipazione con il team manager, costruisce la squadra. E' una sorta di puzzle. Inizialmente si prendono gli elementi e poi li si mettono insieme.

Visto che oggi le squadre sono più numerose, questo compito è diventato molto più difficile. Una squadra oggi è composta da 25/26 corridori. Inoltre, per come è programmato il calendario corse, esiste la possibilità che molti corridori, durante una stagione, non si vedano neanche. I direttori sportivi, che oggi sono più d'uno, devono essere bravi a sistemare le pedine a loro disposizione. Questa è la ragione che li porta a creare dei gruppi all'interno delle squadre.
L'esempio odierno più eclatante è quello dell'Astana. Ci sono 2 leader per le corse a tappe, Nibali e Aru, e ognuno dei due ha un gruppo. Questo porta i corridori all'interno di ogni gruppo a stare quasi sempre insieme. Possono cambiare 1 o 2 elementi, ma lo schema di base è questo.  

Attingendo alla tua esperienza da direttore sportivo, credi sia meglio un gruppo composto da molti campioni o con gerarchie chiaramente definite?

Se consideriamo il grande numero di impegni che ci sono durante una stagione, credo sia meglio che ci siano 2/3 corridori che possano rivestire il ruolo di capitano. Considera poi che alcuni vanno forte nelle corse a tappe, mentre altri nelle corse in linea.
A mio parere, avere più di un leader all'interno della squadra ti permette di gestire in modo più efficace tutti gli impegni che ci sono nel corso di una stagione. Oggi si inizia a correre a gennaio e si finisce ad ottobre/novembre.
Ai miei tempi si cominciava al Laigueglia, si continuava con il programma italiano, si passava a correre in Belgio e si continuava con il Giro o la Vuelta. Difficilmente prendevi parte a Giro, Tour e Vuelta. Oggi, invece, le squadre sono strutturate per fare una doppia, o tripla, attività.
A fronte di questa situazione è quindi importante che in ogni occasione ci sia un corridore, che almeno sulla carta, sia in grado di risolvere la corsa. Fossi direttore sportivo preferirei quindi avere più leader all'interno della mia squadra.


I tuoi aspetti caratteriali vincenti da corridore sono gli stessi che hai riscontrato nella carriera da direttore sportivo?

Il carattere rimane quello da quando uno nasce, anche se può essere affinato attraverso le esperienze di vita. Una persona che nasce "musona", rimarrà sempre "musona", anche se può diventarlo in modo minore. Questo vale anche se uno è allegro.
Devo confidare che non mi sono modificato molto nel mio carattere. Come ero da corridore, così sono stato da direttore sportivo. Ero molto schietto e sono molto schietto. Sono una persona aperta ed espansiva e così ero anche da direttore sportivo e da corridore. Credo che l'essere molto espansivo mi abbia penalizzato, ma poi ho saputo trovare la giusta misura.
Da corridore non ho avuto molte giornate di gloria, non ho avuto molte giornate vincenti, però mi cercavano, ero considerato e in corsa pensavano a me come ad un gregario da rispettare, capace anche di fare la corsa. Così è stato anche da direttore sportivo.
Chi ha ricoperto il ruolo di leader, credo possa trovare delle difficoltà nelle vesti di direttore sportivo. Il leader a volte può far fatica a capire lo sforzo a cui è sottoposto un corridore che non è dotato delle stesse grandi qualità atletiche. A memoria non ricordo di grandi corridori, che passati a direttori sportivi, abbiano fatto particolarmente bene.
Oggi sulle ammiraglie c'è gente che sapeva vincere, ma che era soprattutto un buon gregario. Essere stato un gregario ti permette di avere una visione a 360° di quello che è il lavoro che avviene in una squadra.

Quindi per diventare direttore sportivo è meglio essere stato un gregario?

Un gregario abituato a stare vicino al leader, ma capace anche di finalizzare il lavoro della squadra in alcune circostanze.
Eddie Merckx è stato secondo me il più grande della storia e per questo credo faccia fatica a capire il punto di vista del gregario. Se avesse voluto fare il direttore sportivo l'avrebbe potuto fare. Così è anche per Moser. Saronni fa il team manager, non fa il direttore sportivo. Direttori sportivi che andavano fortissimo ed erano dei leader non me ne vengono in mente.

Hai corso con grandi campioni e sei stato in ammiraglia per Pantani e Cipollini. Se dovessi creare il ciclista perfetto dal punto di vista caratteriale, facendo un puzzle con gli atleti che hai avuto modo di incontrare, come sarebbe composto?

Per i corridori che ho incontrato, credo che il carisma di Pantani sia ineguagliabile. Pantani oltre ad avere un grande carisma era capace di apprezzare il lavoro della squadra, arrivando addirittura a portare con sè i corridori. Seppure fosse un corridore con caratteristiche diverse, Cipollini faceva la stessa cosa. 
Entrambi avevano personalità molto spiccate, ma con caratteristiche molto diverse. Il carisma e la generosità di Marco, associati alla capacità di finalizzazione e alla cattiveria agonistica nell'andare a cercare la vittoria di Mario, formerebbe un mix straordinario.

Il carisma e l'attenzione ai compagni di Pantani e la capacità di finalizzare di Cipollini... 

Mario pretendeva molto e pretendeva soprattutto molto da se stesso. Nonostante ci fossero delle dicerie, che lo apostrofavano come leggero e guascone, Mario è stato un professionista di una serietà encomiabile, quasi maniacale. Quando si preparava era difficile stargli dietro! Vista la sua professionalità, chiedeva anche a suoi compagni di essere come lui, ma non era una richiesta facile.
Quando Mario perseguiva un obiettivo difficilmente gli sfuggiva. Ad esempio, al campionato del mondo Ballerini formò una squadra completamente costruita per l'arrivo in volata di Mario e lui finalizzò alla grande. Questo è un esempio che chiarisce il carattere di Mario e che risalta anche per importanza.
La vittoria fu il risultato di una buona costruzione della squadra. Sia Cipollini, che Pantani, facevano molto affidamento sui loro compagni e li portavano con sè, dovunque andassero. Pantani aveva un blocco storico di compagni e così era anche per Mario.

Pantani e Cipollini sono stati ciclisti vincenti, con un carattere diverso. Credi ci siano delle caratteristiche mentali che contraddistinguano il buon ciclista, a prescindere da possibili differenze personali?

Il ciclismo è uno sport molto faticoso, molto difficile. Non è semplice raggiungere gli obiettivi che ti prefiggi.
Detto questo, per essere un ciclista devi essere un'atleta a cui madre natura ha dato molte capacità. Un corridore si può allenare molto, si può alimentare bene, può fare la vita dell'atleta al 100%, ma se non sei, come dico io, "trombato", c'è poco da fare!
Una volta soddisfatto questo presupposto, un ciclista per raggiungere certi risultati deve avere la testa e lo spirito di abnegazione per fare alcune rinunce. Se scegli tu questa vita non è un sacrificio, ma di rinunce ne devi fare tante. La rinuncia è quella di non fare una vita normale.
Quindi, per fare il corridore, oltre ad essere dotato da madre natura, serve un grande spirito d'abnegazione e una grande testa. Quando fai il corridore vivi in una grande bolla, sei completamente fuori dal mondo. Oggi questo aspetto è esasperato, perchè sei sempre in giro per il mondo e la famiglia è sacrificata. Devi avere anche la fortuna di avere una compagna che capisce cosa fai, ma non è semplice.

Cosa significa oggi fare il ciclista?

Il ciclismo negli ultimi anni è stato molto trascurato, perchè si finiva sempre a parlare delle solite cose. Oggi penso di poter affermare che, sotto la spinta dei giovani, si è andata a creare una cultura un pò diversa e c'è una disponibilità di fare dei sacrifici e di avere l'atteggiamento di cui parlavo precedentemente.

Sai, fare il ciclista professionista in questo periodo non è facile. Sei sempre sulla strada, in mezzo al traffico, senza che ci sia un'adeguata cultura stradale. Negli ultimi fatti di cronaca abbiamo potuto sentire parlare di vittime sia tra i professionisti, che tra gli amatori. Sarebbe importante far passare il messaggio che la strada non è solo degli automobilisti, ma di tutti. Sono consapevole che non sempre sono presenti strade adatte a viaggiare e in cui è possibile predisporre delle piste ciclabili o dove garantire una buona sicurezza, ma credo sia comunque importante rispettare chi va in bicicletta.
Rispetto a quando correvo io, oggi ci sono più macchine, più corse, più corridori. La fatica rimane la stessa ed è il comune denominatore di tutti i corridori, ma i rischi sono maggiori.

Quindi è la fatica il comune denominatore del ciclismo?

Si, la fatica ci accomuna tutti e ci rende una grande famiglia. Questa sorta di masochismo, il desiderio di arrivare a far fatica fino allo spasimo, ci unisce.

Tante rinunce, tanti rischi e tanta fatica. Qualcuno potrebbe domandarsi "chi te lo fa fare?"

E' una sfida! E' l'agonismo! Staccare un altro corridore in salita è una goduria, arrivare al traguardo ed alzare le mani è una grande soddisfazione. Anche il solo andare forte e mettere il gruppo in fila è una grande soddisfazione! Sono soddisfazioni che ti riempiono di gioia.
Quando sei professionista magari lo fai anche per denaro. Grazie al professionismo ho avuto l'occasione di conoscere molte persone e di girare il mondo, venendo così ripagato sotto molti aspetti. Io alle Hawaii non sarei mai andato se non avessi fatto il direttore sportivo, non avrei mai visto il Colorado, non avrei visto Aspen. Invece sono stato in tutti questi posti. Mi concentro sull'America, perchè allora era una sorta di Eldorado.
Il ciclismo mi ha permesso di conoscere importanti personaggi della vita sociale, che mi facevano domande sul Giro d'Italia o che erano incuriositi perchè ho vinto una tappa al Tour. Lo fai anche per questo!
Magari inizi a pedalare perchè vuoi battere qualcuno in particolare e poi vai avanti. Io, ora, lo racconto il ciclismo e anche questo mi da soddisfazione.

In che modo l'essere stato un corridore e un direttore sportivo influenza il tuo essere commentatore?

Ho un profondo rispetto per tutti quelli che pedalano, capisco la fatica che stanno facendo. La capisco, perchè l'ho fatta anche io. L'essere commentatore mi ha avvantaggiato parecchio, perchè non ho visto solo la parte del gruppo che pedala, ma anche quella di chi sta in ammiraglia. Vedendo i movimenti delle squadre, ci sono degli schemi che capisco quasi subito. Conosco i direttori sportivi attuali e so come lavorano.

C'è qualcosa che vorresti aggiungere?

Che la bicicletta è una livella. Su di una bici siamo tutti uguali, indipendentemente se una persona lavori come notaio o come muratore, che sia pensionato o disoccupato. Non ci sono distinzioni sociali. La distinzione è tra ci va forte, tra chi è un mezzettone o chi va piano.

Le differenze sono date dalla strada e niente altro. Questa è una cosa bella. Quando sei in mezzo al gruppo puoi parlare con un dottore o con una persona che ha studiato meno, ma per te in quel momento sono tutti uguali e non hai remore a parlare con chi normalmente senti diverso da te.

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