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venerdì 6 novembre 2015

I 3 fattori del burnout sportivo: perchè un atleta abbandona l'attività atletica

Il burn-out, traducibile in italiano con bruciato, esaurito e scoppiato, esprime il cedimento psico-fisico a cui una persona è soggetta nel confrontarsi con i compiti e le difficoltà della vita professionale, come sportiva.
Il burn-out può venire associato a vissuti come il: non farcela più, malumore e irritazione quotidiana, prostrazione e svuotamento, senso di impotenza e delusione (Pellegrino, 2009).

In ambito sportivo si è soliti associare il burn-out a situazioni di fatica fisica, psicologica ed emotiva, che vanno così a favorire l'abbandono dell'attività praticata (Scimione, 2014).
Raedeke (1997) indica 3 fattori in grado di favorire il burnout:

1) Esaurimento psico-fisico: quando le gare e gli allenamenti sono troppo intensi, le risorse psico-fisiche vanno via, via, ad esaurirsi. Questo porta gli atleti a sperimentare la sensazione di non avere più le capacità per affrontare i compiti e le difficoltà connesse alla pratica sportiva, favorendo così l'abbandono.
Come una vettura, che all'aumentare della velocità aumenta i consumi, un atleta all'aumentare dell'intensità degli allenamenti e delle competizioni, aumenta il suo consumo di risorse psico-fisiche. A differenza di una vettura, che all'esaurimento del carburante può fare benzina e ripartire, un atleta all'esaurimento delle risorse molto difficilmente riuscirà a fare il "pieno" e sarà quindi portato a fermarsi;

lunedì 26 ottobre 2015

Dialogo col campione: Andrija Geric

Andrija Geric è stato un pallavolista serbo e oggi lavora come psicologo dello sport.

Da giocatore, con la nazionale serba, ha conquistato un oro olimpico a Sidney 2000 e agli europei in Repubblica Ceca nel 2001. Nel suo palmares figurano anche: 1 argento in 4 World League; 1 bronzo olimpico, 2 bronzi europei, 1 bronzo in coppa del mondo, 1 bronzo in World League e 1 Bronzo in Grand Champions Cup.

Andrija Geric ha giocato e vinto molto anche militando in squadre Italiane. Con la Lube Macerata ha conquistato: 1 Coppa Campioni, 1 Scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa Italiana e 2 Coppe CEV







La pallavolo è lo sport con più densità umana, cioè con il più alto rapporto persone/metri quadrati. Questo aumenta le variabili in gioco: fiducia, rapidità, gioco di squadra, conoscenza degli altri, dei ruoli, dei movimenti. Cosa ne pensi?!

Io penso che in ogni sport di squadra tutti questi aspetti diventino rilevanti. L'aspetto caratteristico della pallavolo consiste nell'essere separato fisicamente e spazialmente dall'avversario. Quanto tu vai a costruire nel tuo campo, a livello di gioco, non può essere influenzato dall'avversario. Quando la palla è nella tua metà campo sei tu ad avere tutto sotto controllo.
Inoltre nella pallavolo, oltre ad esserci una separazione dall'avversario, c'è un marcato contatto fisico con i compagni, perchè dopo ogni punto i componenti della squadra si dirigono al centro del campo per festeggiare e quindi si toccano.
Per quanto riguarda il gruppo e le dinamiche interne ad un gruppo sono importanti dei buoni rapporti tra gli atleti soprattutto sul piano del gioco. Nella mia esperienza mi è capitato di far parte di squadre nelle quali i rapporti personali non erano buoni al di fuori del campo, ma, essendo tutti dei professionisti, quando scendevamo in campo eravamo uniti.

Quindi c'è un importante relazione con i tuoi compagni, mentre c'è un'assenza di contatto con l'avversario...

In sport come il basket, la pallanuoto o la pallamano l'avversario ti è sempre vicino. Esistono la difesa e l'attacco, ma l'avversario sarà intorno a te in queste fasi di gioco.
Nella pallavolo invece la tua metà campo è il tuo regno, mentre l'avversario si trova nel suo di regno che si trova al di là della rete. Quanto tu andrai a fare nella tua metà del campo dipende solo da te, non dipende dall'avversario.

lunedì 12 ottobre 2015

Dialogo col campione: Marco Lokar

Marco Lokar è un ex cestita italiano, che ha calcato i parquet dalla serie A1 fino alla serie C. Tra le sue esperienze anche due anni alla pallacanestro Trieste allenata da Bogdan Tanjević.
Marco Lokar ha anche giocato nel campionato universitario americano per la Seton Hall University dove viene ricordato per una partita da 41 punti e per essersi rifiutato di vestire la casacca con la bandiera americana durante il periodo della guerra del Golfo.
Oggi Marco Lokar lavora come manager.




Ciao Marco, quali sono le differenze mentali con cui deve confrontarsi un giocatore che affronta il campionato americano e italiano?
Ci sono molte differenze, che percepisci nel mondo dello sport come anche nel mondo del lavoro. Negli Stati Uniti d'America, in qualche modo, il merito viene premiato ed è quindi il campo a determinare il tuo futuro. In Italia e in Europa questo accade limitatamente al mondo dello sport, mentre negli Stati Uniti è sicuramente un mantra a tuttotondo.
Un'altra enorme differenza è che negli Stati Uniti lo sport è “crudo”. La seconda, terza o quarta possibilità sono molto difficili da ottenere. Quando arriva il tuo turno o quando hai la possibilità di giocarti la tua chance devi dimostrare quello che vali, con bravura e determinazione. Questa può sembrare una sorta di selezione darwiniana severissima, ma nei fatti è così.
Anche nello stile di gioco ci sono enormi differenze, ma non hanno a che fare con l'aspetto psicologico, organizzativo e umano.

venerdì 9 ottobre 2015

I 5 poteri dell'allenatore

Due domande che molti allenatori si pongono nel corso di una stagione sono le seguente: 1) Come posso trasmettere le mie idee agli atleti?; 2) Come posso fare in modo che gli atleti seguano le mie indicazioni?
Per provare a dare una risposta a queste domande dobbiamo introdurre il concetto di potere, perché è proprio attraverso il potere che un allenatore può riuscire in questi due compiti.
Due ricercatori che molto hanno lavorato sul tema del potere sono French e Raven (1959), definendolo:
 "l'influenza potenziale che una persona può esercitare su di un'altra"
In questo articolo ci riferiamo specificamente alle 5 fonti di potere che permettono ad un allenatore di esercitare influenza sugli atleti:
1) Potere di ricompensa: consiste nell'abilità dell'allenatore di dare o anche solo promettere ricompense ai propri atleti. Queste possono essere sia di tipo materiale (offrire una birra nel caso del gol vittoria) o simbolico (conferirgli i gradi di guida nella fase difensiva). 
La forza di questo potere aumenta all'aumentare del desiderio che un dato atleta muove nei confronti delle ricompense.
  • Esempio: se un dato giocatore desidera arditamente la maglia della nazionale, sarà disposto a fare molto di ciò che l'allenatore gli chiede, mentre se non desidera particolarmente giocare in nazionale il potere dell'allenatore sarà notevolmente inferiore.

lunedì 5 ottobre 2015

Dialogo col campione: Lisa Borzani



Lisa Borzani è una ultratrailer che corre per l’Atletica Amatori Chirignago.
Bronzo a squadre ai mondiali ultratrail di Annecy 2015, come anche in Galles nel 2013.
Lisa Borsani si è inoltre aggiudicata numerose importanti competizioni a livello nazionale e internazionale.


Ciao Lisa, a volte il primo passo di una gara inizia mesi o anni prima con un'idea, un desiderio o un sogno che vogliamo realizzare. Per te in che modo i “sogni” sportivi influenzano il tuo allenamento e le tue gare? In che modo? L'influenza è solo positiva o può anche essere negativa?
Sicuramente avere un obiettivo, indipendentemente che questo sia un semplice obiettivo o un sogno è secondo me è notevolmente importante. La motivazione e l'impegno che “metti” sono due aspetti funzionali al raggiungimento di ciò che vuoi ottenere e sono connessi al porsi degli obiettivi.
Anni fa ho visto il mio compagno Paolo partecipare al Tor de Geants e, in quel momento, mi sono detta “anche io parteciperò”, ponendomelo come obiettivo. Questo mi ha trasmesso una grande motivazione per allenarmi e per arrivare pronta all'appuntamento.
Sicuramente l'avere un obiettivo o un sogno ha una valenza positiva e mi riesce difficile considerarlo negativo. Anzi! Credo che l'avere un obiettivo ti permetta di stringere i denti, facendoti uscire per l'allenamento anche quando non ne avresti voglia. Senza una meta da raggiungere ci sono cose che non faresti mai.

venerdì 2 ottobre 2015

Perchè rimango a casa ogni volta che voglio fare sport

Una risposta semplice alla domanda posta nel titolo, può essere trovata nella teoria della dissonanza cognitiva, sviluppata da Leon Festinger (1957).
Cos'è la dissonanza cognitiva e di cosa parla questa teoria?
Ogni persona ha la necessità di mantenere un senso di coerenza tra opinioni e credenze rispetto a se stesso, il proprio ambiente e il proprio comportamento.
Quando capita che due opinioni o credenze non siano coerenti tra loro allora una persona percepirà un disagio emotivo, che vorrà rimuovere ristabilendo un equilibrio.
Per ridurre questo stato di tensione un individuo dovrà modificare l'elemento meno resistente al cambiamento tra le opzioni che generano conflitto.

lunedì 28 settembre 2015

Dialogo col campione: Daniele Crosta

Daniele Crosta è un ex schermidore italiano della specialità del fioretto.

Nel suo palmares figurano diversi titoli a squadre, tra cui un oro agli europei di Bolzano 1999; un bronzo ai giochi olimpici di Sidney 2000, ai mondiali di Città del Capo 1997 e agli europei di Funchal 2000.

Oggi Daniele Crosta lavora come psicoterapeuta e come psicologo dello sport.







Ciao Daniele, oggi sei uno psicologo/psicoterapeuta che si occupa anche di psicologia sportiva. Come credi la tua esperienza di atleta di alto livello possa agevolarti in qualità di psicologo dello sport e come credi che gli atleti che segui possano trarne beneficio?

L'esperienza sportiva mi ha permesso di “parlare lo stesso linguaggio” degli atleti. Credo questo dia il vantaggio di poter comprendere situazioni non propriamente comuni, che un atleta ti può raccontare.
Chi non ha mai vissuto lo sport agonistico, soprattutto se ad alto livello, farà più fatica a comprendere i vissuti di stress e le pressioni che un atleta deve sopportare.
Questo può essere un vantaggio, ma può anche diventare uno svantaggio. Gli atleti che incontro sono diversi da me e nonostante possano vivere delle esperienze che magari anche io ho già vissuto, ne daranno un'interpretazione soggettiva, perchè le vivono in modo singolare reagendo ad esse in modo singolare.
Credo quindi che l'esperienza pregressa come sportivo sia un'arma a doppio taglio. Da una parte ti aiuta, mentre dall'altra rischia di farti vivere una sorta di pregiudizio che può condizionarti, rendendo più difficile capire il vissuto originale dell'atleta.

La difficoltà quindi consiste nel distaccarti dalla tua esperienza e dal tuo vissuto?

Diventa complicato non applicare i “tuoi schemi”, dato che un atleta ti parla di cose che conosci. A mio avviso, non dovrebbe interessarmi del fatto che l'atleta mi parla di cose che conosco, mentre dovrebbe interessarmi capire come lui vive quelle cose, perchè lui potrebbe viverle in maniera molto diversa da me. A me possono sembrare le stesse cose, però lui potrebbe viverle in modo sostanzialmente diverso.
Dall'altra parte, facendo formazione a giovani psicologi che frequentano il master in psicologia dello sport, mi sono accorto che un vantaggio connesso all'esperienza pregressa è legato soprattutto agli sport di squadra.
La conoscenza di come funziona una squadra e come funziona il mondo dello spogliatoio, ti permette di evitare alcuni errori. Aiuta a muoverti in un contesto che non è semplice e in cui ci sono già delle regole spesso non sono scritte.
Seguendo delle squadre, anche durante le trasferte, mi sono accorto che la conoscenza che avevo maturato mi ha permesso di comprendere quale fosse mio “posto”, cosa non ovvia per chi non ha mai fatto sport.

martedì 11 agosto 2015

Dialogo col campione: Davide Frattini


Davide Frattini è un ciclista professionista italiano, nato a varese nel 1978, che corre nelle fila della formazione americana UnitedHealthCare Pro Cycling Team.

Nel 2001 vince il Giro d'Italia dilettanti, passa professionista nel 2002 e nel 2004 emigra prima negli Stati Uniti e poi in Canada, per continuare la sua carriera oltre oceano.

Sul suo profilo Twitter si presenta così: "padre, marito, ciclista professionista e ciclocrossista nel tempo libero"



Gli italiani vengono spesso descritti come un popolo di creativi, disorganizzati, appassionati, ricchi di gusto estetico, edonisti e molto altro ancora. Come le tue radici culturali, italiane e varesotte, ti caratterizzano in qualità di sportivo professionista, in gara e in allenamento?

Quando corro ci sono un sacco di paesi rappresentati in gruppo. Ho colleghi italiani, tedeschi, australiani e di ogni parte del mondo. In quei momenti mi accorgo come ogni paese abbia un suo modo di fare e come questo venga trasmesso anche pedalando.
Noi italiani siamo più creativi, quando corriamo da “italiani” lo trasmettiamo, e penso che questo discorso valga anche per me. Pensa a Bettini e Nibali, scattano e vanno all’attacco senza essere matematici, in modo istintivo. Atleti di altri paesi sono più metodici negli allenamenti e nelle gare, come ad esempio gli inglesi.
Certo, questo in corsa può aiutare, mentre altre volte non aiuta.