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martedì 11 ottobre 2016

Andy Van de Meyde, la fragilità di un talento di cristallo

Le mani davanti al viso, la destra vicinissima agli occhi, aperta, come un mirino, mentre la sinistra si allontana verso il cielo, a simulare la canna di un fucile.
Guardarsi attorno e vedere lo stadio olimpico ammutolito, i tifosi della Roma attoniti, i visi tirati in un misto di odio e ammirazione, mentre i compagni gli correvano incontro. Chivu, Sneijder, Van Der Vaart, Ibrahimovic, una generazione irripetibile per l’Ajax che, in una notte d’autunno, conquistò l’Olimpico.


Era il 2002, Andy Van Der Meyde aveva 23 anni ed era considerato uno dei talenti più puri che il calcio olandese avesse sfornato negli ultimi 20 anni. La precisione al cross, il dribbling ubriacante, la velocità di un giovane nel fiore dei suoi anni, così forte da non potersi non innamorare di lui. 
Nella terra di Van Gogh lo idolatrano, l’Europa gli mette gli occhi addosso, l’Inter lo compra per regalare il pezzo pregiato al suo allenatore, Hector Cuper, l’hombre vertical argentino, che faceva del gioco sulle fasce il punto nevralgico della sua tattica.