Pochi giorni fa, durante l'ultratrail sull'isola della Reunion, la Diagonale de Fous, anche il vincitore Antoine Guillon ha approfittato della musica con le cuffie, credo una cosa rara, se non unica, per lui, sempre attento ad ascoltare sé stesso e il proprio ritmo.
Durante un ultratrail la musica può essere importante non solo per il ritmo o la concentrazione, l'isolamento, ma anche per distrarre dal dolore. Ecco un'altra utilità della musica durante lo sport: distrarre dal dolore. E, quasi come per cercare una catarsi, si potrebbe ascoltare qualcosa che parli proprio del dolore, come per affrontare in faccia i propri demoni, e sconfiggerli.
Uno dei migliori album della storia del progressive, ma anche di tutta la musica rock, parla molto di questo, il dolore, la difficoltà del vivere, e lo affronta di petto, con decisione, senza giri di parole. Stiamo parlando di "Pawn Hearts", dei britannici Van der Graaf Generator. Album del 1971, in piena epoca di musica progressive, dopo i fasti della psichedelia e prima dell'esplosione punk, rappresenta uno dei vertici della storia della musica, nonostante la scarsa forza commerciale del prodotto. Solo 3 lunghe canzoni (nell'originale, mentre nelle nuove edizioni su cd sono state aggiunte altre brevi canzoni strumentali), di 11, 10 e 23 minuti, dove si alternano una miriade di emozioni forti e contrastanti.

Si parte con "Lemmings (incorporating COG)": l'atmosfera è subito cupa, grazie al lavoro incredibile di tutto il gruppo. A chitarra, piano e voce Peter Hammill, mente e anima del gruppo, paroliere favoloso e compositore sull'orlo di una lucidissima follia; a tastiere e basso Hugh Banton, grande polistrumentista sempre prezioso; alla batteria Guy Evans, portentoso, mai virtuoso fine a sé stesso, geniale; ai fiati, sax o flauti che sia, David Jackson, il "Van Gogh del saxofono", capace di suonare due strumenti contemporaneamente.