Tutti conoscono Michael Phelps, “lo squalo di Baltimora”, nuotatore tra i più grandi sportivi di tutti i tempi, vincitore del maggior numero di medaglie d’oro nella storia delle Olimpiadi, che proprio grazie al nuoto, alle grandi doti fisiche, e in misura ancora maggiore, ad una smisurata ambizione agonistica, è uscito da enormi difficoltà famigliari, sociali e umane. Qualcuno ricorderà di averlo vista prima di una delle sue gare di nuoto intento a concentrarsi con le cuffie sulle orecchie. E che musica ascoltava? Semplice, ascoltava un altro grande personaggio uscito da mille difficoltà (anche se talvolta ricadutoci in malo modo) grazie ad una passione, stavolta la musica: stiamo parlando di Eminem, rapper di Detroit che a inizio 2000 conquistò le vette delle classifiche di tutto il mondo, rivoluzionando completamente la musica rap e l’hip-hop grazie ad una fantasia sfrenata, a una penna mirabolante (in suo favore si sono scomodati anche premi Nobel e il più grande songwriter di sempre, Bob Dylan) e un gusto per la provocazione a volte esagerata, nonché dalla particolarità di essersi impossessato, da bianco, di una musica tipicamente caratterizzante i neri d’America.
È certo però che questa provocazione, questo suo ribellarsi ai benpensanti americani, allo show business (di cui però faceva parte con enorme furbizia e bravura), e alla società americana, con i suoi testi colmi di rabbia e perfida ironia, può essere ben adatta per caricarsi in vista di svariate attività sportive, non solo finali olimpiche in piscina.
Nel consigliare un album, rimane però difficile trovare solo uno. Sono pregevoli tutti i suoi primi lavori (escludendo l’esordiente “Infinite”, quindi si parla di “The Slim Shady LP”, “The Marshall Mathers LP”, “Eminem Show“, “Encore”), quindi forse la cosa migliore è considerare “Curtain Call”, vero Greatest Hits dei suoi primi lavori, il migliore a riguardo, specialmente per chi ha difficoltà ad assorbire la canzoni rap più ricercate.